Blivido.

Pensieri, parole, o pere, o missioni

mercoledì 30 settembre 2009

Non c'è peggior sordo...

Dice che l'unioneuropea vuole limitare il volume degli ipod e dei lettori emmeppittre.
Dice che dieci milioni di europei rischiano di diventare sordi, perchè ascoltano la musica a cannone dentro gli auricolari.

Sordi.

Io dovrei essere già bello e sordo.
Io giro sempre con le cuffie. Da che mi ricordo c'ho sempre la musica dentro le orecchie.
Mi ricordo il tragitto che facevo col 311 per andare a scuola. Alle medie. Prendevo apposta l'autobus che faceva il giro più lungo per ascoltare almeno il lato A della cassetta che avevo nel walkman.
E poi anni e anni, passati dal walkman a cassetta, al lettore cd, all'emmeppittre, che non mi sembra vero che è così piccolo e pure se sobbalzo non salta nulla e mi entra in tasca o ovunque lo metto e dentro ci schiaffo tanta di quella musica che una volta mi sarei dovuto portare una valigia sempre appresso.

Infatti ecco un'altra cosa. Forse l'approccio che ho io alla musica mi deriva dall'ascolto in movimento.
Se un disco mi piace me lo ascolto fino alla morte. Ci vado in fissa proprio, e sento solo quello.
Viceversa, se una cosa non mi piace, di solito gli do una seconda possibilità o addirittura una terza o una quarta.
Sarà per quello.
E' che una volta, quando andavi in giro con le cassette, una te ne potevi portare.
E se toppavi quella, eri costretto a sentirtela lo stesso, mica la potevi cambiare.

Comunque, la musica in cuffia.
Io ce l'ho sempre, da una vita, e oltretutto ce l'ho pure quasi sempre al massimo del volume.
Perchè io viaggio in metropolitana e la metropolitana sferraglia e fischia e sbatte e urla e fa continuamente rumori fastidiosi, che se uno sta lì che vuole sentirsi in pace una cosa, proprio non si può fare.
E allora per forza la metto al massimo.
Che poi, vuoi mettere dico io.
Quando c'hai la canzone che proprio volevi sentire. Oppure quella che ti scarica una dose di energia in tutto il corpo, che è un godimento, ed era proprio quello che ci voleva, lì in quel posto, in quel momento.
Come fai a non metterla al massimo del volume?

Quindi io sono uno di quelli che diventerà sordo, anche se per ora ci sento benissimo.

Che poi mi fanno ridere quelli che dicono "Eh ma se hai sempre la musica dentro alle orecchie ti perdi tutto il bello". La gente, quello che succede, il mondo che ti circonda.

Sono d'accordo, certo.
Ma vuoi mettere percorrere una traversata epica, una galoppata onirica con l'ultimo disco dei Mogwai? Vuoi mettere volare su Heil to the Thief dei Radiohead?
Viaggiare su tappeti volanti, accorciare le distanze, sognare, immaginare, fantasticare, camminare su percorsi psichedelici, strade immaginarie, mondi desiderati.

Poi aprire gli occhi, e trovarsi a Pietralata, prossima fermata Monti Tiburtini.

giovedì 24 settembre 2009

di corsa

A settembre a tutti gli viene la voglia di fare sport, tipo ricomincia la vita di tutti i giorni dopo le vacanze, e allora è come con l’anno nuovo, che tutti hanno i buoni propositi e la voglia di sport e di tenersi in forma.
E allora alle palestre c’è la fila e tutti si iscrivono in piscina o a taekwondo o a spinning o a pilates e tutti nomi che io non avevo mai sentito prima.

Io non c’ho mai avuto tutta sta necessità, però quest’anno pure io a settembre mi sento pieno di energie da buttare.
Così vado a correre al parco. Senza esagerare. Piano piano, a ritmo basso, ma con costanza. Mi fa stare bene, mi fa sentire meglio. Mi scarica. Mi rilassa.
C’è un bel parco dalle mie parti, grandissimo.
Io ci ho passato un sacco di tempo della mia vita. A fare passeggiate. A giocare a pallone con gli amici. A fumare. A berci una birra. A farci all’amore. A rilassarmi. A pensare, a leggere, a piangere. E’ un parco bello, davvero, anche adesso che ci vado a correre.

Al parco si incontrano tre categorie di persone, quasi esclusivamente.
I genitori coi bambini, che vogliono scorrazzare, e allora mamma e papà li portano all’aria aperta invece di farli rimanere chiusi in casa a giocare col nintendo diesse.

Quelli che vanno a correre, appunto, con le magliette sudate e l’aipod e il fiatone e i calzoncini. Quelli atletici che si allenano davvero, e quelli panzoni che almeno ci provano.

E poi quelli coi cani, che sono la maggioranza. Che si incontrano con gli altri coi cani, tipo appuntamento fisso di una certa ora del giorno. Oppure sono solitari e i loro cani pure, e allora si fanno ‘sta passeggiata lunga senza parlare con nessuno. Oppure si incontrano cani che non si conoscono e si abbaiano, si ringhiano o si salutano, va a capire.
Oggi un cane provava a scoparsi un altro cane, col movimento tipico dei cani delle zampe in aria e del bacino che spinge e spinge.
E allora il padrone del cane arrapato dice “Ma che fai che sei pure sterilizzato e manco ti si addrizza!”
Io passo correndo col mio passo cadenzato e vedo questa scena.
E li guardo, e rido, e passo avanti.

E allora penso che è bello. Che è tutto bellissimo qua dentro. Che la gente si conosce, socializza condivide spazi e momenti. Gente che manco si conosce. Che si parlano, che si confrontano, che si sorridono. Che sono cordiali, che sono contenti.
Sembra strano, non succede da molte altre parti in questa città. Nelle nostre città. Un microcosmo di socializzazione. Di aria pulita. Di benessere.

Poi penso che non è giusto. Che cazzo fanno gli altri? Perché l’aria bella del parco se la vivono solo queste tre categorie? Come se avessero dei meriti particolari, come se fossero stati premiati per qualcosa.
Siamo tutti così chiusi, ci respingiamo a vicenda, se ci incontriamo manco ci salutiamo. Ma il mondo è un altro.
E' buffo che me ne accorga correndo, e non fermandomi a riflettere, come la tartaruga di Bruno Lauzi.

mercoledì 23 settembre 2009

questo senso

Ho questo senso di insoddisfazione.
Come quando credi che le cose vadano in un verso e poi invece non stanno così.
Ho questo senso di delusione.
Come quando lì per lì sembra che le cose vadano bene, ma poi ti accorgi che ci sei restato male.
A me mi succede sempre così. Che lo percepisco che qualcosa mi ha colpito negativamente, ma riesco a proseguire e a sorridere e a mantenere la calma e a non avere reazioni.
Come se ti danno un pugno in faccia, ma tu il dolore cominci a sentirlo dopo dieci minuti. Come un'anestesia locale. A volte è un vantaggio. A volte uno svantaggio. Dipende dai casi.

Ho questo senso di anestesia locale.
Ho questo senso di tristezza, un po'.
Questo senso. Un senso. Un senso a questa storia.
Che ormai se dici "un senso" è automatico che lo colleghi alla canzone.
Pure nei suggerimenti che ti da Google, se scrivi "un senso", ti suggerisce Vasco Rossi.
Pazzesco.
Ieri sera ero in macchina, e alla radio hanno passato un medley di Vasco Rossi, dal vivo.
A me non è che sta antipatico Vasco. C'ho pure dei dischi suoi.
E' che non sopporto 'sta cosa del successo incondizionato, che tutti lo considerino il più grande solo perchè ormai è così. Il fatto che possa anche scorreggiare nei suoi dischi, tanto va benissimo lo stesso, che però vasco è vasco. Boh.
E allora c'era 'sto medley alla radio, chitarra acustica e voce. E lui cantava un pezzo di ogni canzone, tutti pezzi lenti, tutte cose tipo Unacanzonepertè o incredibileromantica, tutte attaccate. E a sentirlo alla radio faceva pure un certo effetto, perchè ogni volta che attaccava una canzone diversa c'era 'sto boato, come quando segna una squadra di calcio, e poi il boato si scioglieva in un'unica grande voce che accompagnava quella di Vasco. Sempre così, boato, e poi tutti che cantano. Per tutto il medley.
Che poi sentirlo alla radio è un conto. Io a un concerto di Vasco Rossi non ci sono mai stato. Però immagino che se ci andassi vorrei sentire lui cantare, non ottantamila stronzi stonati che mi urlano nelle orecchie che Laura aspetta un figlio per natale.

martedì 22 settembre 2009

blividi

Così una sera ho voglia di scrivere e succede che apro un blog.
Non l'ho mai fatto, uno mio davvero, cioè.
Non durerà, probabilmente, ma cos'è che dura oggigiorno?
Un gesto impulsivo, ecco. Ciò di cui avevo bisogno.

Succede che stasera andiamo a cena in un posto inutilmente chic.
Finto chic, cioè. Del tipo, diamoci un tono.
Si scordano delle nostre ordinazioni, e noi restiamo là, un'ora e mezza, ad aspettare piatti che si preparano in cinque minuti.
Io per sbaglio, con un gesto goffo, mi rovescio addosso un intero calice di Falanghina.
Mi inzuppo maglietta e pantaloni, del tutto. Ho freddo. La porta del locale è aperta ed entra un cazzo di spiffero persistente di questo giovane autunno. E io sono tutto bagnato. E i nostri piatti non arrivano.

Puzzo di vino dalla testa ai piedi, e ne ho bevuto appena due sorsi.
Mentre torno a casa penso che divertente sarebbe se mi fermasse la polizia.
Con l'alcoltest e tutto.
Mi immagino tutta la scena, proprio.
Ma poi non succede niente.
Proprio come ogni volta che provo a immaginare qualcosa nei dettagli.