Blivido.

Pensieri, parole, o pere, o missioni

sabato 24 aprile 2010

Alle volte succede che

Alle volte succede che stai bene e ti senti invincibile
e poi succede che ti arriva una sberla.
Alle volte succede che
quello a cui non pensi, e che non credi sia possobile, succeda.
Alle volte succede che
stai male
perchè non sai come andrà a finire.

Tutte queste volte
per un senso di ansia e dolore che sento
ho provato ad uscirne
e ce l'ho fatta.
Ma quando succede di nuovo
mi sento esausto
ho un groppo alla gola
e non so cosa fare.

Allora penso che
dovrei sapere come fare
a sopravvivere
e a sorridere.

Soero solo
di potermelo ricordare.

mercoledì 17 marzo 2010

Un dolore distribuito

Oggi pensavo a come ci arrivano le notizie.
Le notizie nostre, quelle della nostra vita, quelle che riguardano le persone che abbiamo vicino.

Se ne parla sempre di come era il mondo prima che arrivassero i telefoni cellulari.
Io però non avevo mai pensato a come questa invenzione influisse sul modo in cui abbiamo notizia di qualcosa che ci circonda.

Il dolore, un tempo, ti arrivava quasi esclusivamente sulla soglia di casa.
Passavi la tua giornata più o meno in tranquillità, e poi rientrando, senza nessun preavviso, sentivi una forza cattiva che ti blocca lo stomaco e ti fa tremare le gambe.

Il dolore era fermo, braccato nelle mura domestiche. E per strada, non se ne sentiva quasi l'energia.

Oggi, qualsiasi cosa succeda, lo sapiamo subito, in qualsiasi posto.
E' già in uno squillo del telefono, in un tono di voce incrinato, filtrato dall'apparecchio.
E' un dolore distribuito, nel tempo e nello spazio, che non ha confini e che ci assale per le strade, in macchina, dal dentista, alla stazione.
E la sua energia si distribuisce a tutti, nell'aria, libera di espandersi.

Forse è per questo che il mondo di oggi mi sembra più cattivo.

giovedì 4 febbraio 2010

Piramidi

E poi qualche giorno fa dovevo andare in quel posto di Roma che ha una piramide.
Che mi ha sempre fatto strano, una piramide a Roma.
Mi ha sempre dato l'impressione di una cosa aggiunta, messa lì. Come a dire. C'abbiamo già tanti di quei monumenti, ma una piramide ci manca. Mettiamoci pure una piramide.

Comunque io ero sulla metropolitana, come d'abitudine, ed ero seduto che leggevo un libro di Christian Raimo.
Davanti a me, in piedi, c'era questa ragazza con un cappotto a quadri rossi e neri, che ascolltava ad alto volume nelle cuffie un qualche rock anni ottanta.

Vicino a me, seduta, c'era una donna sui trenta. A un certo punto lei si alza, nel gesto cortese di far sedere una persona che ha più necessità di stare seduta.
Questo signore coi capelli bianchi, io non l'avrei fatto sedere. Nel senso, non mi sembrava così, a vederlo, una di quelle persone a cui cedere il posto. Non mi sembrava molto anziano, non mi sembrava niente.

Lei però s'è alzata, e l'ha fatto sedere.
E lui è stato contento di questo gesto semplice. Le ha sorriso. E poi le ha detto, con una voce bassa, quasi sussurrata
"Grazie. Ce ne sono poche di persone come lei".
Con una sincerità disarmante.

Lei le ha sorriso, ed è stata bravissima nel far sembrare tutto questo naturale.
Perchè era naturale, per lui, per tutti.

Poi lui ha abbassato lo sguardo, e le ha detto "Devo sembrare proprio malato eh?"
e allora io son rimasto spiazzato, perchè se fosse successo a me, io non avrei saputo cosa rispondere.
Perchè lui si muoveva legnoso, innaturale.
Come una persona che sta male, e non sa come relazionarsi con il mondo.
Come qualcuno che ha scoperto di avere una malattia brutta, e non riesce più a muoversi con naturalezza.

Ma lei gli ha sorriso ancora, naturale, più naturale di prima.
E gli ha detto solo "No. Solo che lei è una persona più grande di me".

Perfetto, penso. Brava.
E le sorrido.

Poi arrivo alla Piramide, e scendo.
Davanti a me, a passo svelto, si dirige verso l'uscita la ragazza con il cappotto a quadri rosso-neri.

Mentre cammino, da un altro vagone della metro ancora ferma, sbuca un ragazzo.
Si sporge dalla porta aperta, dal treno che sta per chiudere e ripartire.
Sembra che stia aspettando qualcuno, o qualcosa.
E appena vede la ragazza con il cappotto, le grida "Rouge et noir!".

Lei neanche lo sente, perchè sta ancora ascoltando musica anni '80 ad alto volume.
Ed io penso che questa cosa non ha alcun senso.

lunedì 1 febbraio 2010

Praticamente

però mi pare vero e coerente
un nero parente
su un pero cadente
vento a ponente
di un pelo potente
pena la perdita del proprio cosciente.

Panico o mente?
pentola o lente?
antiaderente?

La mente rientra dal panico a oriente
e tenta la conta del niente vivente.
Meglio di niente, del male ad un dente
del lento apparente
di un alto serpente.

giovedì 21 gennaio 2010

Paura di volare


Io, non avevo paura di volare.
Poi, all'improvviso, mi è venuta.
E sì che ne ho presi tanti, in vita mia, di aerei.
Così questa volta sono partito, con la paura dell'aereo.

Poi mi sono accorto che forse non ho paura dell'aereo.
Però, per la prima volta, ho analizzato il volo.

Ho avuto la sensazione dei pesci nell'acquario.
Le ritualità. Le hostess che fanno il loro balletto spiegando le misure di sicurezza, che nessuno ascolta, o anche se le ascolta, se dovesse davvero succedere qualcosa, non avrà mai il sangue freddo di mettersi a pensare o a ricordare cosa fare.

La rincorsa, il decollo, i rumori. Il mal di pancia. La città che si allontana, sempre di più.
Poi più niente. Il nulla sotto, la stabilità. Che sembra di essere su un pullman, o su un treno.

Se ci pensi, che stai volando, mentre ti sembra di essere su uno stupido treno, è incredibile.
Che sei a migliaia di metri sopra la terra. Che lassù è tutto tranquillo, un microcosmo di sedili, e voci dall'altoparlante, bibite gassate, e sorrisi di cortesia. Però stai volando.

Quando siamo decollati, al ritorno, la città era coperta dalle nuvole.
Per tutta la mattina, il cielo era scuro, buio.
Poi ci siamo alzati in volo, e la città dall'alto aveva un altro aspetto.
Dopo le nuvole, mentre ci alzavamo sempre di più, il cielo era limpido.
E un raggio di sole ci illuminato il viso.

E allora, mi sono sentito felice.

sabato 16 gennaio 2010

Lisbona, gennaio

Lisbona ha un sapore caldo, che sento in qualche modo familiare.
Io non conosco il portoghese, e non e' vero per niente che somiglia allo spagnolo.
Cosi' mi confondo sempre, e dico "gracias", e loro mi rispondono "obrigado".
A Lisbona non c'e' il giallo ai semafori pedonali, e dal verde si passa subito al rosso.
Se non stai attento rischi che finisci sotto a una macchina.
A Lisbona ci sono dei tram piccoli piccoli, che si arrampicano per dei vicoli stretti e sembrano volare.

Mi sembra tutto cosi' assolutamente autentico, che mi lascio trasportare da questa vitalita' che sento inedita.

Ogni giorno che passa, sento di possedere un qualcosa in piu'.
Ogni giorno mi accorgo che c'e' un limite alle cose che possiamo conoscere del mondo ce ci circonda.
Ma e' un limite incredibilmente fisico, logistico, pratico.

Non e' un limite mentale.
Non e' un limite naturale.
Non e' un limite che possiamo decidere di autoimporci, rimanendo chiusi nella nostra quotidianita'.

martedì 5 gennaio 2010

Cultura zingara


Ieri sera guardavo distrattamente la tivvù.
Facevano un film di Totò.
Non so come si chiamasse, non l'avevo mai visto.

Lui a un certo punto è in un boschetto, che si cucina del pesce su un fuoco arrangiato.
Dal nulla sbuca una ragazza, e quando Totò gli chiede chi è, lei risponde "Sono una zingara".
"Di quelle che indovinano?" risponde Totò.

In un film di oggi, una zingara non ce l'avrebbero mai messa.
Al massimo Totò gli avrebbe chiesto: "Di quelle che rubano?"

martedì 29 dicembre 2009

Ultimo dell'anno

Gli ultimi giorni dell'anno li trascorro così.
In una città che sonnecchia ed è insolitamente ospitale.
In giro non c'è quasi nessuno, e la quotidianità diventa insolita se non c'è quasi nessuno intorno.

Gli ultimi giorni dell'anno li passo a lavorare sulle ultime cose.
A camminare a piedi nonostante la pioggia.
A leggere i libri che mi piacciono.
Ad essere calmo e rilassato, con dei ritmi più sensati, con una logica sana.

Quando arriva la fine dell'anno io ho sempre pensato che è una cosa importante.
L'anno nuovo, dico.
Sarà perchè mi viene naturale valutare le cose per anni.
La mia vita, quella degli altri. Quello che succede.
Anno per anno.

Mentre attacco sul muro un nuovo calendario, non penso al tempo che passa.
Solo che quest'anno il mio calendario è più colorato di quello vecchio.
E mi va bene così.

martedì 22 dicembre 2009

camminare a piedi


A volte, soprattutto al ritorno, mi piace farmela a piedi.
Cammino sui marciapiedi per un quarto d'ora, e faccio la strada che altrimenti percorrerei su un tram affollato.
Se non fosse per lo smog, per la puzza di tubo di scappamento e per i rumori da girone dantesco, è piacevole camminare a piedi per questo pezzo di città.

Quando faccio questo tragitto, passo davanti ad un'ambasciata.
Davanti all'ingresso, stazionano due militari.
Ci passo davanti, ogni volta.
Sono giovani, molto più giovani di me.
E in mano hanno un mitra enorme. Un'arma vera, grossa, che non capita mica sempre di vedere armi vere.
La sicurezza, dicono. Più militari per le strade.
Ma io ho paura, quando vedo questi bambini vestiti di verde con una canna lunga e nera.
Ogni volta che ci passo davanti, penso che quell'oggetto può uccidere delle persone.
Anzi, penso che quell'oggetto lì l'hanno proprio creato per uccidere le persone.
Non è che ha altre funzioni.
Pure un mattone se te lo becchi in testa ti può ammazzare. Ma mica l'hanno costruito per quello.

Così quando passo davanti a questi mi sembra sempre che mi guardino male.
E poi immagino che per qualche motivo uno di questi mi spara alle spalle.

Ieri mi sono fatto un regalo di Natale.
Poco dopo aver superato l'ambasciata, ho trovato su una bancarella un cd che mi piace tantissimo, e non lo so più quant'è che non compravo un disco originale.
L'ho pagato tre euro.
Non ho più pensato ai militari e al loro mitra.
Poi ha piovuto tutta la sera.